
Le indicazioni del Garante ed il DPCM 17 dicembre 2021
Il comma 5 dell’art. 9 septies del D.L. n. 52 del 22 aprile del 2021, come modificato della L. 165/2021 ha previsto che: “Al fine di semplificare e razionalizzare le verifiche di cui al presente comma, i lavoratori possono richiedere di consegnare al proprio datore di lavoro copia della propria certificazione verde COVID-19. I lavoratori che consegnano la predetta certificazione, per tutta la durata della relativa validità, sono esonerati dai controlli da parte dei rispettivi datori di lavoro”.
Il Garante per la protezione dei dati personali si è recentemente espresso in tale materia con un parere favorevole reso, in via d’urgenza[1], sullo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che aggiorna le disposizioni relative alle Certificazioni verdi e agli obblighi vaccinali per alcune categorie di lavoratori: nei casi in cui il lavoratore si avvalga della facoltà di consegnare la certificazione verde al datore di lavoro, quest’ultimo è comunque tenuto a effettuare il regolare controllo sulla perdurante validità, mediante lettura del QR code della copia in suo possesso attraverso l’app VerificaC19 o mediante le previste modalità automatizzate.
Lo schema di decreto in esame introduce misure a tutela della salute pubblica e della sicurezza nei luoghi di lavoro in caso di eventuale consegna da parte del lavoratore al datore di lavoro di copia della propria certificazione verde Covid-19 (ipotesi introdotta dagli artt. 9-quinquies, comma 4, e 9-septies, comma 5, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52), prevedendo, comunque, la verifica da parte del datore di lavoro, della perdurante validità della stessa (art. 13, comma 16, del d.P.C.M. 17 giugno 2021, introdotto dallo schema di decreto in esame).
Ricorda il Garante che l’impiego delle certificazioni verdi risulta efficace a fini epidemiologici nella misura in cui il certificato sia soggetto a verifiche periodiche sulla sua persistente validità. L’eventuale assenza di verifiche sulla validità della certificazione verde non consente infatti di rilevare l’eventuale occorrenza di una condizione che determina la revoca della stessa (es. in caso di positività sopravvenuta in capo al lavoratore che ha volontariamente consegnato la certificazione verde), in contrasto, peraltro, con il principio di esattezza cui deve informarsi il trattamento dei dati personali (art. 5, par. 1, lett. d), del Regolamento).
Sul punto, già prima dell’entrata in vigore della richiamata disposizione normativa, il Garante ha evidenziato i notevoli rischi per i diritti e le libertà degli interessati derivanti da tale diposizione in relazione alla acquisizione della copia della certificazione verde, specialmente nel contesto lavorativo, evidenziando che un’eventuale mancata verifica quotidiana della validità della certificazione verde rischia di determinare la sostanziale elusione delle finalità di sanità pubblica (cfr. Segnalazione al Parlamento e al Governo sul Disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 127 del 2021 (AS 2394), doc. web n. 9717878, nella parte in cui evidenzia che “la dinamicità e potenziale variabilità della condizione sanitaria del soggetto è difficilmente “cristallizzabile” in una presunzione di validità della certificazione, insensibile a ogni eventuale circostanza sopravvenuta ed esige, di contro, un costante aggiornamento con corrispondenti verifiche”).
Considerato che la certificazione verde Covid-19 e il QR code contengono, come previsto dal Regolamento (UE) 2021/953, numerosi dati personali anche relativi alla salute degli interessati e, tra questi, anche la specifica causale in ragione della quale è stata rilasciata la certificazione verde (vaccinazione, guarigione, tampone con esito negativo) nonché altre informazioni di dettaglio (ad esempio, il numero di dosi somministrate, il tipo ed il lotto del vaccino, il tipo di tampone effettuato- antigenico o molecolare- la data del primo tampone con esito positivo), il Garante continua, in ogni caso, a evidenziare i rischi che la prevista consegna del certificato verde al datore di lavoro, al quale dovrebbe essere preclusa la conoscenza di condizioni soggettive peculiari dei lavoratori come la situazione clinica e le convinzioni personali, pone rispetto alle garanzie della disciplina di protezione dati e dalla normativa di settore a tutela della dignità e della libertà nei luoghi di lavoro (art. 88 del Regolamento, art. 113 del Codice, art. 8 della l. n. 300/1970 e art. 10 del d.lgs. n. 276/2003; v., sul punto, Memoria del Presidente del Garante del 7 dicembre 2021 su AS 2463 – Conversione in legge del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172, doc. web n. 9725434).

In tale quadro, il Garante prende atto della previsione in base alla quale, nei casi in cui il lavoratore si avvalga della facoltà di consegna al proprio datore di lavoro della certificazioni verde, il datore di lavoro stesso sia comunque tenuto, a tutela della salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, a effettuare il regolare controllo sulla perdurante validità della certificazione del lavoratore effettivamente in servizio con le modalità previste dalla disciplina di settore (mediante lettura del QR code della copia in possesso del datore di lavoro attraverso l’app VerificaC19, ovvero mediante le previste modalità automatizzate).
Il trattamento dei dati personali da parte del datore di lavoro, in caso di acquisizione e conservazione della certificazione verde, deve in ogni caso essere limitato alla sola finalità di verifica della perdurante validità della certificazione nel rispetto del principio di limitazione della finalità del trattamento (art. 5, par. 1, lett. b) del Regolamento), non essendo ammessi trattamenti per finalità ulteriori rispetto a quelle previste dalla norma (cfr. art. 2-decies del Codice), ed essere effettuato adottando misure tecniche e organizzative per assicurare l’integrità e la riservatezza dei dati, tenuto conto dei rischi e delle possibili conseguenze per gli interessati nel contesto lavorativo e professionale (artt. 5, par. 1, lett. f), 24 e 32 del Regolamento).
Per quanto concerne le verifiche automatizzate, si rammenta, in particolare, la verifica tramite il Portale istituzionale INPS: con riferimento, tra gli altri, ai lavoratori subordinati, le verifiche sul rispetto dell’obbligo vaccinale sono effettuate mediante specifiche funzionalità rese disponibili all’interno del Portale istituzionale INPS che interagisce, in modalità asincrona, con la PN-DGC (art. 17-bis, commi da 1 a 6, e all. I del d.P.C.M. 17 giugno 2021, introdotti dallo schema di decreto in esame).
Dal provvedimento del Garante emerge come la consegna della certificazione verde non può essere intesa come un atto “liberatorio” per il datore e per il lavoratore: a tal fine pare opportuna l’adozione di una procedura che contempli la somministrazione di un verbale di consegna della copia, accompagnato da idonea informativa conforme all’art. 13 GDPR.
Tale procedura risulta oltre modo necessaria alla luce della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n.299 del 17-12-2021 del DPCM 17 dicembre 2021 che all’art. 1 apporta modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 giugno 2021, prevedendo, per quanto qui di interesse, che
all’art. 13, dopo il comma 15 è aggiunto il seguente: «16. Nel caso in cui il lavoratore, ai sensi degli articoli 9-quinquies,comma 4, e 9-septies, comma 5, del decreto-legge 22 aprile 2021, n.52, consegni al proprio datore di lavoro la copia della propria certificazione verde Covid-19, il datore di lavoro effettua la verifica sulla perdurante validità della certificazione del lavoratore effettivamente in servizio mediante la lettura del codice a barre bidimensionale della copia in suo possesso utilizzando l’applicazione mobile descritta nell’allegato B, paragrafo 4, ovvero mediante le modalità automatizzate di cui al comma 10, descritte negli allegati G e H, nel rispetto del principio di limitazione della finalità del trattamento di cui all’art. 5, paragrafo 2, lettera b),del regolamento (UE) n. 2016/679.
La possibilità di consegna si arricchisce così di una nuova prescrizione per i datori di lavoro, ossia quella di dover effettuare la verifica sulla perdurante validità della certificazione del lavoratore effettivamente in servizio. La misura, se da un lato è volta a garantire un controllo più capillare sotto il profilo della permanente validità dei green pass conservati e, dunque, cerchi di assicurare una maggiore sicurezza nei luoghi di lavoro, in adesione quanto già rilevato dal Garante privacy, dall’altro lato rimette alla scelta del datore di lavoro la frequenza con cui tali controlli dovranno essere effettuati, dato che non viene fornita una esplicita indicazione sul punto. Valgono, dunque, le regole generali che fin dall’emanazione del D.L. 127/2021 con cui è stato introdotto l’obbligo di green pass in ambito lavorativo, hanno consentito al datore – almeno nel contesto privato – di stabilire la cadenza delle verifiche effettuate a campione.
Se incombe sul datore l’onere di procedere a controlli periodici della validità, dall’altro appare necessario che, con il verbale di consegna, il lavoratore che consegni copia della propria certificazione assuma l’impegno di comunicare tempestivamente qualsiasi variazione circa la validità della stessa dovesse intervenire dal momento della consegna al momento della scadenza della sua durata: ciò alla luce dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione della prestazione lavorativa di cui agli artt. 1175 e 1375 cc[2], nonché dell’art. 20 dlgs 81/2008 che pone a carico del lavoratore il dovere di prendersi cura della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro in osservanza alle istruzioni del datore, nonché di contribuire all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute sui luoghi di lavoro[3].
Di seguito si propone un modello di
verbale di consegna corredato dalla informativa.
[1] Provvedimento del 13 dicembre 2021 [9727220]
[2] Invero i principi generali dettati dal Codice civile in materia di obbligazioni e contratti sono sicuramente applicabili anche ai contratti di lavoro e quindi anche ai rapporti di lavoro subordinato: così deve dirsi, dunque, per gli articoli 1175 e 1375 c.c., cioè per gli obblighi di comportamento e di esecuzione delle prestazioni contrattuali secondo le regole della correttezza e secondo buona fede: Pietro Scudeller, Lavoro subordinato: buona fede e correttezza, Diritto & Pratica del Lavoro 8/2019
[3] Cassazione Penale, Sez.IV, 2 novembre 2018 n.49885: “il giudizio di responsabilità si fonda sulla ritenuta posizione di garanzia ricoperta dal S.T. ai sensi dell’art.20, d.lgs.n.81/2008, che, al primo comma, recita: ‘Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro‘“.La Cassazione conclude infatti ricordando che “la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che in materia di infortuni sul lavoro, il lavoratore in base al citato disposto normativo è garante, oltre che della propria sicurezza, anche di quella dei propri colleghi di lavoro o di altre persone presenti quando si trova nella condizione di intervenire per rimuovere le possibili cause di pericolo, in ragione della maggiore esperienza lavorativa (Sez.4, n.36452 del 15/05/2014, Rv. 262090)“.