Le 1000 “Tragiche Fatalità”

Si fa presto a parlare di emergenza, si fa presto ad inorridire davanti a fatti di cronaca raccontati ai tg, si fa ancor più presto a riavvolgere il nastro, ed in un idiosincratico rewind, le giornate rimangono una uguale all’altra…. In cui nulla muta.

La vita degli esseri umani sembra quasi cristallizzata tra due realtà: una che viaggia spedita alla velocità della luce, l’altra invece che mette zavorre su zavorre, al fine di rallentarne la corsa. Un doppio binario che espone a numerosissimi pericoli le vite di ciascun essere vivente.

Maggio 2021 +11,4: non è l’aumento del PIL, no! È il drammatico dato dei morti, delle vittime del lavoro. Un dato inquietante! 

Mi continuo a chiedere, e a questo punto mi verrebbe anche da dire “ingenuamente”, a che cosa serve il lavoro che sin qui abbiamo fatto, il lavoro che con costanza tutti i giorni abbiamo portato avanti, se poi, come ci dicono i dati, due persone al giorno nel nostro paese muoiono nei luoghi di lavoro.

Le risposte le conosco talmente tanto bene che sono in grado di elencarle, una di seguito all’altra: tragica fatalità, disattenzione, irresponsabilità, protezioni assenti, la colpa non è di certo sua… la lista potrebbe essere infinita.

Eppure il dato cresce! Ma a cosa serve e soprattutto cosa manca? Controlli dicono! Pertanto, basterebbero più controlli per risolvere il problema? Io sono fermamente convinta di no, perché la sicurezza non è solo questione di controlli, non è solo questione di adesione normativa, non è una questione burocratica così come non lo sono i morti.

E allora? Cosa manca? Con il tempo abbiamo imparato a frammentare la nostra vita esigendo risposte dai vari “mondi” che abitiamo: mondo del lavoro, mondo sociale, mondo scuola, mondo famiglia e per ognuno di essi abbiamo individuato cluster e norme di comportamento, come se fossero slegati gli uni dagli altri. Ecco, dunque, cosa manca: la capacità di sentirsi ed essere parte di un sistema Vita organizzato che congiunge a filo doppio ogni ambiente e luogo che abitiamo. Di fatto se riuscissimo a compiere questo passaggio di pensiero sarebbe abbastanza semplice vedere come ciascuno e ciascuna di noi esige tutela per sé e per i propri membri della famiglia, attiva comportamenti volti a prevenire e a proteggere da incidenti e malattie, agendo con cura e buon senso. Al lavoro invece no! Quando si lavora è sempre qualcuno “Altro da noi a doverci pensare” e questo è certamente vero se mi attengo solo ed esclusivamente alla regolamentazione normativa che, è bene però sottolineare, non priva nessun membro del gruppo lavoro a sottrarsi alla propria responsabilità. Partiamo da questo: dalla responsabilità! Invalidare la nostra responsabilità al lavoro, secondo il principio più sopra esposto, significherebbe spogliarci anche della capacità di tutela, prevenzione, cura e buon senso che invece attiviamo in maniera automatica nel mondo familiare. Per cui, secondo questo principio, dovrebbe essere un Altro da noi a farsi carico anche di questo. Invece così non è. Anzi. Capita molto spesso che ci opponiamo, che ci arrabbiamo e ci attiviamo per difendere i nostri diritti, senza mai privarci del nostro senso del dovere. E il nodo si aggroviglia sempre lì. Diritti e doveri, compiti e responsabilità.

Comincerei con il tagliare alcune zavorre e soprattutto inizierei ad esigere una rappresentazione della vita meno teatralizzata (con copioni peraltro di terz’ordine) e più vicina alla realtà.

La pandemia ha messo in ginocchio moltissime attività lavorative, ma ha alzato enormi tappetti sotto i quali abbiamo per decenni nascosto cumuli e cumuli di polvere, convincendoci che tutto andasse bene. Abbiamo molto spesso detto che il Testo Unico, nel 2008, è stato una grande conquista, ma siamo nel 2021 ed, ahimè i morti non scendono sotto i 1000 all’anno.

Questi dati non fanno altro che confermare un convincimento che ho e che con la Fondazione Assosafe portiamo avanti da molti anni ormai: le leggi servono a redarguire in merito ai diritti e doveri, la cultura della sicurezza invece serve ad orientare in merito alle responsabilità. Il primo passo affinchè tutto ciò si possa finalmente ì rappresentare è effettuare uno sfrondamento a monte di tutti quegli enti, società e/o associazioni che continuano ad alimentare nelle aziende il convincimento “che tanto basta avere l’attestato” per adempiere agli “obblighi normativi”, avviare campagne di sensibilizzazione e prevenzione che mostrino l’altra faccia della medaglia della formazione, quella dei vantaggi, degli aspetti positivi, perché non è più possibile continuare a esibire la formazione come uno spauracchio “se non la fai è penale, se non la fai ti multano”, ma è necessario far capire che attraverso la formazione continua in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, si acquisiscono competenze che consentono di lavorare in sicurezza, che consentono di avere una vision ed un controllo organizzato della quotidianità lavorativa.

La fatalità, una tragica fatalità, può accadere. Ma non venitemi a raccontare che quelle 1000 all’anno sono tutte Tragiche Fatalità!

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